Note – Nota
by Andrea Ciccarelli
Nel congedare il quarto numero di Simultanea devo innanzi tutto ringraziare il co-direttore, Marco Arnaudo, sempre solerte e attento nelle sue riletture; gli autori per la loro pazienza nell’accogliere le nostre non poche richieste editoriali; i lettori degli articoli inviati alla rivista, per le loro puntuali osservazioni critiche, nonché Carlotta Vacchelli, vicedirettore, e Lucia Casiraghi, nuova assistente editoriale, per il loro instancabile e certosino lavoro di controllo redazionale e per la loro capacità tecnologica. Senza di loro non avremmo questo ricco numero. I miei ringraziamenti vanno anche all’artista che ha creato la copertina di questo nuovo numero, Adam Tempesta.
Capita sempre più spesso di leggere e di sentire che la cultura popolare è ormai “sdoganata” dall’essere considerata inferiore a ciò che si definisce cultura (alta). In Italia, negli ultimi anni, questo è, per esempio, particolarmente vero per il fumetto e il graphic novel (con quest’ultimo genere spesso distinto dal fumetto dai non addetti ai lavori, i quali assegnano istintivamente un significato più nobile al graphic novel, perché non seriale e, dunque, meno popolare, perpetuando –perfino nell’emancipazione— una distinzione fra cultura di serie A e di serie B). Se, da un lato, a noi può solo far piacere che, finalmente, la cultura italiana accetti quello che altre culture considerano normale, anzi norma culturale da tempo – e cioè la presenza paritaria di forme artistiche (più) popolari all’interno del discorso critico, intellettuale e accademico, dall’altro non può che farci riflettere sull’implicita arretratezza insita nel termine fra virgolette. La psicolinguistica qui ci aiuta forse a capire (e carpire) il significato esatto e nascosto che informa un termine, le sue conseguenze, nonché le sue cause. Sdoganare vuol dire che chi doveva pagare dazio ora non deve più farlo, perché, evidentemente, lo ha già fatto a sufficienza ed ha guadagnato i galloni necessari per frequentare i circoli esclusivi della Cultura. Frequentare quei circoli, dialogare con chi vi appartiene da generazioni, dunque, ma forse non proprio sedersi assieme agli stessi tavoli. Viene in mente l’erede di don Rodrigo, il buon marchese che era sufficientemente umile per offrire il pranzo nuziale e perfino servire a tavola Renzo e Lucia, ma non un “portento d’umiltà” tale che potesse però pensare di sedersi al tavolo direttamente con loro. E quindi, una volta “serviti” i modesti contadini, si ritira a mangiare altrove con don Abbondio. Stesso palazzo, stesso cibo, stesso servizio, ma tavolo e commensali adeguati al proprio rango. Chi, improvvisamente o gradatamente, accetta la novità, il cambiamento intendendolo come sdoganato, agisce poi non troppo diversamente dal buon marchese: si ha sufficiente umiltà intellettuale per accogliere l’inevitabile che ci circonda e che preme alle porte, ma, una volta apprezzato, lodato e aiutato chi è nuovo a sistemarsi, ci si ritira con i propri pari (intellettuali).
Ecco, Simultanea nasce e si pubblica proprio perché non abbiamo mai pensato che una determinata produzione artistica si debba sdoganare, debba essere elevata al rango e(ste)tico di produzioni / generi meno popolari e, quindi, più importanti. Siamo contenti che quotidiani e programmi televisivi “seri” aprano le loro porte a forme fino a pochi anni fa derise, (tar)tassate e relegate fuori dai circoli ben frequentati. Renzo e Lucia e le loro storie raccontate “alla carlona”, come chiosa con condiscendenza don Abbondio parlando col marchese, per noi siedono alla stessa tavola delle storie raccontate con la forma giusta, qualunque essa sia in un dato momento. D’altronde, che la cultura popolare debba pagare dei conti ben più salati alle mense della cultura ricca, lo riscontriamo perfino da un’analisi superficiale del rapporto fra chi, per vocazione intellettuale e artistica, avrebbe dovuto invece accogliere con maggior apertura chi proponeva cose nuove tramite forme finto-tradizionali da filastrocca. Si pensi, per fare un esempio, al caso di Rino Gaetano, accolto al Folk Studio negli anni Settanta – luogo musicalmente ecclettico, provocante ed eccentrico per antonomasia: oggi diremmo inclusivo—come uno strano outsider, con una condiscendenza non poi troppo dissimile, a guardar bene, da quella con cui don Abbondio deride le capacità di cantastorie di Renzo. Mi riferisco alla sincerità con cui, uno dei protagonisti dell’epoca, Ernesto Bassignano, in uno speciale mandato in onda nel 2013 dalla RAI, ricorda come lui e gli altri del Folk Studio pensassero che Gaetano fosse un “cazzaro” e che le sue canzoni “strimpellate” nello studio, perfino la sempreverde Il cielo è sempre più blu buttata giù sulla chitarra di De Gregori, non avessero “colpito tanto” ne’ lui ne’ gli altri (https://youtu.be/728h6NLnsQ8: min. 5:41; 10:58; 12:00; 13:11), tanto da essere sorpreso di sentire dai DJ di “Punto Radio” – riferimento alternativo e nuovo dell’epoca— che “le ragazzine telefonano giorno e notte” per chiedere la canzone “sulla sfiga” di Rino Gaetano. Tanto che Bassignano poi ammette come fosse sfuggito a tutti loro che questa bistrattata filastrocca “è la seconda Volare d’Italia”. Sorvolo, perché non è questa la sede, sul fatto che siano “le ragazzine” a richiedere la canzone, non le ragazze o i ragazzi (quest’ultimo semmai in senso multigender: l’asterisco per il plurale neutro non era ancora in uso nel 2013), ma questo forse non nega una velata condiscendenza, ancora una volta: “le ragazzine”, cioè un pubblico specifico, femminile, adolescenziale, propenso al popolare. Appunto. Ci piace concludere con un celebre aforisma di Andrea Pazienza, altro autore che, improvvisamente, è passato dall’alternanza di nicchia, agli spazi della grande stampa, dei media e delle mostre nazionali (non a caso, è stato spesso accostato a Rino Gaetano). Se lo si interpreta bene si capisce che la cultura è sempre alternativa o underground, a prescindere dalla forma e, dunque, sempre vera e sempre destinata ad essere popolare nei suoi vari rivestimenti:
“La verità è sempre nuda, basta questo per capire che razza di zoccola è” (Andrea Pazienza, da Andrea Pazienza, “Vignette, storie, illustrazioni 1985-1988”, Pertini e la Prima Repubblica, Gruppo editoriale L’Espresso, 2016).