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Note – Nota

by Andrea Ciccarelli

This issue of Simultanea, like the previous ones, is the result of teamwork, carried out by the editorial staff together with the readers of the articles and, of course, the authors who, as always, have gladly accepted the comments and corrections requested. However, we would be ungrateful and unjust if we did not specify that this issue has come to fruition mainly thanks to the efforts of Carlotta Vacchelli, who, due to her continuous collaboration with various groups of scholars in the field of comics and popular culture, not only managed to weave the intellectual threads of the articles and interviews that make up the issue but also personally oversaw the publication on the website together with Jaxon Cooper.

It is not our practice to review the articles published, as editorial notes often do, because we believe that an article accepted by a peer-reviewed journal does not require any editorial explanation. However, I am pleased to highlight the richness of the topics (ranging from various aspects of underground comics to the revival of a classic, Dante, in alternative rap; from the artistic reception of an icon of 20th-century Italian art like Schifano to the representation of otherness in a web series), as well as the diverse academic background of the authors, coming from European and North American universities. This dual aspect confirms, years later, how the idea behind Simultanea remains alive and valuable for the scholarly debate on popular culture and media in Italy.

We live in a historical period that seems intent on shaking the tree of culture to make everything that is not easily recognizable as tradition fall, focusing, without too many doubts, on monocultural unifications that were once thought to belong to another era. Well, upon reflection, we can see why there is an urgency to recover tradition in opposition to anything that seems popular, underground, different, new, or innovative (these two things are not necessarily consequential: innovation can also occur under an apparently formal guise). The very concept of popular culture, in fact, implies, certainly in Italian, a collective entity without class distinctions, almost as if it were the metaphor of a creative world where equal aesthetic opportunities are (mis)understood as a scale of values accessible to all, depending on interests and not the prestige of the artistic genre. This remains the main goal of an academic journal like ours: to offer an intellectual space to those who see the world of culture as in continuous movement and ferment, not unlike the real world, with its migrations and natural relocations, which only clash in the mind and eyes of those who, in the name of tradition (forgetting that what becomes tradition does so because of its innovative artistic strength, later embalmed by those who come after), see the world tinted with a single dark color, the one that rejects sharing and equal opportunity – aesthetic or otherwise.

In fact, when looking more closely, this culturally gloomy world, reproduced in its own image and likeness, resembles much more the dark Dantean hell than its counterpart illuminated by clear, bright light, as perhaps those who preach and admire a high, unique, and indivisible culture might think. I mention Dante because he is a classic par excellence, but also an author of immense popularity throughout the centuries, recognized as such even by the people who could not read him but could listen to him and recognize him as an example of cultural pride, sensing the naturalness of his verses (“come la mosca cede alla zanzara”) and repeating verses that have become proverbial (le dolenti note, il ben dell’intelletto, mi taccio, non ti curar/ ragioniam di loro…, etc.). Well, the quintessential migrant poet, tormented until death, taught us that we should never lose faith in culture. Indeed, without cultural curiosity, without research, one finds nothing different from the quagmire of infernal immobility in which we live, consciously or not: “ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.” Who seeks (sometimes) finds… Culture, art – whether popular or not – is meant precisely for that: to give us the strength or, at least, the imagination to embark on new paths, roads, and journeys that may lead us “a riveder le stelle.” Because, after all, as later repeated in a dialect different from Tuscan, by another great author who was both classical and popular at the same time, sooner or later: “Ha da passà ‘a nuttata.”

 

Questo numero di Simultanea, non diversamente dai precedenti, è frutto di un lavoro di squadra, svolto dalla redazione insieme ai lettori degli articoli e, naturalmente, dagli autori che, come sempre, hanno accettato di buon grado commenti e correzioni richieste. Saremmo ingrati e ingiusti, però, se non specificassimo che questo numero vede la luce soprattutto grazie allo sforzo di Carlotta Vacchelli, la quale, in virtù della sua assidua collaborazione con vari gruppi di studiosi di fumetto e di cultura popolare, non solo ha saputo tessere le fila intellettuali degli articoli e interviste che compongono il numero, ma ha anche curato personalmente la pubblicazione sul sito insieme a Jaxon Cooper.

Non è nostro costume passare in rassegna gli articoli pubblicati, come spesso fanno le note editoriali, perché pensiamo che un articolo accettato da una rivista peer review non necessiti di alcuna spiegazione redazionale. Tuttavia, mi fa piacere sottolineare la ricchezza degli argomenti (da vari aspetti relativi al fumetto underground, alla ripresa di un classico, Dante, nel rap alternativo; dalla ricezione artistica di un’icona del Novecento artistico italiano come Schifano, alla rappresentazione dell’alterità in una serie webtv), nonché il diverso background accademico degli autori, provenienti da università europee e nordamericane. Un duplice aspetto che conferma, ad anni di distanza, come l’idea dietro Simultanea sia ancora ben viva e utile al dibattito scientifico sulla cultura popolare e sui media in Italia.

Viviamo in un periodo storico che sembra voler scuotere l’albero della cultura per far cadere tutto ciò che non sia facilmente riconoscibile come tradizione, puntando senza troppi dubbi su unificazioni monoculturali che si pensavano d’altri tempi. Ebbene, riflettendoci, possiamo vedere perché vi sia un’urgenza verso il recupero della tradizione da opporre a tutto ciò che pare popolare, underground, diverso, nuovo o innovativo (le due cose non sono necessariamente conseguenziali: l’innovazione può avvenire anche sotto veste apparentemente formale). Il concetto stesso di cultura popolare, infatti, implica, sicuramente in italiano, un’entità collettiva senza distinzioni di classe, quasi fosse la metafora di un mondo creativo dove le pari opportunità estetiche siano (sott)intese come una scala di valori accessibile a tutti, a secondo degli interessi e non del blasone del genere artistico. Questo resta lo scopo principale di una rivista accademica come la nostra: offrire uno spazio intellettuale a chi vede il mondo della cultura come in continuo movimento e fermento, non diversamente dal mondo reale, con le sue migrazioni e i suoi ricollocamenti naturali, che stridono solo nella mente e negli occhi di chi, in nome della tradizione (dimenticandosi che chi diventa tradizione, lo diventa in virtu’ della sua forza artistica innovativa, poi imbalsamata da chi viene dopo) vede il mondo tinto di un unico colore fosco, quello che rifiuta la condivisione e la pari opportunità – estetica o meno. Che poi, a ben guardare, questo mondo culturalmente cupo, riprodotto a sua immagine e somiglianza, ricorda molto più l’oscuro inferno dantesco che non la sua controparte investita di luce chiara e tersa, come forse invece pensa chi predica e ammira una cultura alta, unica e inscindibile. Cito Dante perché è un classico per antonomasia, ma anche un autore di immensa popolarità nei secoli, sentito come tale anche da parte di quel popolo che non lo poteva leggere, ma poteva ascoltarlo e riconoscerlo come un esempio di orgoglio culturale, intuendo la naturalezza dei suoi versi (“come la mosca cede alla zanzara”) e ripetendone versi diventati proverbiali (le dolenti note, il ben dell’intelletto, mi taccio, non ti curar/ ragioniam di loro…, ecc.). Ebbene, il poeta migrante per eccellenza, vessato fino alla morte, ci ha insegnato che non si deve mai perdere fiducia nella cultura, anzi, senza curiosità culturale, senza ricerca non si trova nulla di diverso dal pantano dell’immobilità infernale in cui, coscienti o meno, viviamo: “ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte”. Chi cerca (qualche volta) trova… La cultura, l’arte – popolare o meno che la si consideri- serve proprio a quello: a darci la forza o, almeno, la fantasia di intraprendere cammini, vie e viaggi nuovi che possano condurci “a riveder le stelle”. Perché insomma, come poi ripetuto in un dialetto diverso da quello toscano, da un altro grande autore classico e popolare al tempo stesso, prima o poi: “Ha da passà ‘a nuttata”.

Note – Nota

by Andrea Ciccarelli

This issue of Simultanea, like the previous ones, is the result of teamwork, carried out by the editorial staff together with the readers of the articles and, of course, the authors who, as always, have gladly accepted the comments and corrections requested. However, we would be ungrateful and unjust if we did not specify that this issue has come to fruition mainly thanks to the efforts of Carlotta Vacchelli, who, due to her continuous collaboration with various groups of scholars in the field of comics and popular culture, not only managed to weave the intellectual threads of the articles and interviews that make up the issue but also personally oversaw the publication on the website together with Jaxon Cooper.

It is not our practice to review the articles published, as editorial notes often do, because we believe that an article accepted by a peer-reviewed journal does not require any editorial explanation. However, I am pleased to highlight the richness of the topics (ranging from various aspects of underground comics to the revival of a classic, Dante, in alternative rap; from the artistic reception of an icon of 20th-century Italian art like Schifano to the representation of otherness in a web series), as well as the diverse academic background of the authors, coming from European and North American universities. This dual aspect confirms, years later, how the idea behind Simultanea remains alive and valuable for the scholarly debate on popular culture and media in Italy.

We live in a historical period that seems intent on shaking the tree of culture to make everything that is not easily recognizable as tradition fall, focusing, without too many doubts, on monocultural unifications that were once thought to belong to another era. Well, upon reflection, we can see why there is an urgency to recover tradition in opposition to anything that seems popular, underground, different, new, or innovative (these two things are not necessarily consequential: innovation can also occur under an apparently formal guise). The very concept of popular culture, in fact, implies, certainly in Italian, a collective entity without class distinctions, almost as if it were the metaphor of a creative world where equal aesthetic opportunities are (mis)understood as a scale of values accessible to all, depending on interests and not the prestige of the artistic genre. This remains the main goal of an academic journal like ours: to offer an intellectual space to those who see the world of culture as in continuous movement and ferment, not unlike the real world, with its migrations and natural relocations, which only clash in the mind and eyes of those who, in the name of tradition (forgetting that what becomes tradition does so because of its innovative artistic strength, later embalmed by those who come after), see the world tinted with a single dark color, the one that rejects sharing and equal opportunity – aesthetic or otherwise.

In fact, when looking more closely, this culturally gloomy world, reproduced in its own image and likeness, resembles much more the dark Dantean hell than its counterpart illuminated by clear, bright light, as perhaps those who preach and admire a high, unique, and indivisible culture might think. I mention Dante because he is a classic par excellence, but also an author of immense popularity throughout the centuries, recognized as such even by the people who could not read him but could listen to him and recognize him as an example of cultural pride, sensing the naturalness of his verses (“come la mosca cede alla zanzara”) and repeating verses that have become proverbial (le dolenti note, il ben dell’intelletto, mi taccio, non ti curar/ ragioniam di loro…, etc.). Well, the quintessential migrant poet, tormented until death, taught us that we should never lose faith in culture. Indeed, without cultural curiosity, without research, one finds nothing different from the quagmire of infernal immobility in which we live, consciously or not: “ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.” Who seeks (sometimes) finds… Culture, art – whether popular or not – is meant precisely for that: to give us the strength or, at least, the imagination to embark on new paths, roads, and journeys that may lead us “a riveder le stelle.” Because, after all, as later repeated in a dialect different from Tuscan, by another great author who was both classical and popular at the same time, sooner or later: “Ha da passà ‘a nuttata.”

 

Questo numero di Simultanea, non diversamente dai precedenti, è frutto di un lavoro di squadra, svolto dalla redazione insieme ai lettori degli articoli e, naturalmente, dagli autori che, come sempre, hanno accettato di buon grado commenti e correzioni richieste. Saremmo ingrati e ingiusti, però, se non specificassimo che questo numero vede la luce soprattutto grazie allo sforzo di Carlotta Vacchelli, la quale, in virtù della sua assidua collaborazione con vari gruppi di studiosi di fumetto e di cultura popolare, non solo ha saputo tessere le fila intellettuali degli articoli e interviste che compongono il numero, ma ha anche curato personalmente la pubblicazione sul sito insieme a Jaxon Cooper.

Non è nostro costume passare in rassegna gli articoli pubblicati, come spesso fanno le note editoriali, perché pensiamo che un articolo accettato da una rivista peer review non necessiti di alcuna spiegazione redazionale. Tuttavia, mi fa piacere sottolineare la ricchezza degli argomenti (da vari aspetti relativi al fumetto underground, alla ripresa di un classico, Dante, nel rap alternativo; dalla ricezione artistica di un’icona del Novecento artistico italiano come Schifano, alla rappresentazione dell’alterità in una serie webtv), nonché il diverso background accademico degli autori, provenienti da università europee e nordamericane. Un duplice aspetto che conferma, ad anni di distanza, come l’idea dietro Simultanea sia ancora ben viva e utile al dibattito scientifico sulla cultura popolare e sui media in Italia.

Viviamo in un periodo storico che sembra voler scuotere l’albero della cultura per far cadere tutto ciò che non sia facilmente riconoscibile come tradizione, puntando senza troppi dubbi su unificazioni monoculturali che si pensavano d’altri tempi. Ebbene, riflettendoci, possiamo vedere perché vi sia un’urgenza verso il recupero della tradizione da opporre a tutto ciò che pare popolare, underground, diverso, nuovo o innovativo (le due cose non sono necessariamente conseguenziali: l’innovazione può avvenire anche sotto veste apparentemente formale). Il concetto stesso di cultura popolare, infatti, implica, sicuramente in italiano, un’entità collettiva senza distinzioni di classe, quasi fosse la metafora di un mondo creativo dove le pari opportunità estetiche siano (sott)intese come una scala di valori accessibile a tutti, a secondo degli interessi e non del blasone del genere artistico. Questo resta lo scopo principale di una rivista accademica come la nostra: offrire uno spazio intellettuale a chi vede il mondo della cultura come in continuo movimento e fermento, non diversamente dal mondo reale, con le sue migrazioni e i suoi ricollocamenti naturali, che stridono solo nella mente e negli occhi di chi, in nome della tradizione (dimenticandosi che chi diventa tradizione, lo diventa in virtu’ della sua forza artistica innovativa, poi imbalsamata da chi viene dopo) vede il mondo tinto di un unico colore fosco, quello che rifiuta la condivisione e la pari opportunità – estetica o meno. Che poi, a ben guardare, questo mondo culturalmente cupo, riprodotto a sua immagine e somiglianza, ricorda molto più l’oscuro inferno dantesco che non la sua controparte investita di luce chiara e tersa, come forse invece pensa chi predica e ammira una cultura alta, unica e inscindibile. Cito Dante perché è un classico per antonomasia, ma anche un autore di immensa popolarità nei secoli, sentito come tale anche da parte di quel popolo che non lo poteva leggere, ma poteva ascoltarlo e riconoscerlo come un esempio di orgoglio culturale, intuendo la naturalezza dei suoi versi (“come la mosca cede alla zanzara”) e ripetendone versi diventati proverbiali (le dolenti note, il ben dell’intelletto, mi taccio, non ti curar/ ragioniam di loro…, ecc.). Ebbene, il poeta migrante per eccellenza, vessato fino alla morte, ci ha insegnato che non si deve mai perdere fiducia nella cultura, anzi, senza curiosità culturale, senza ricerca non si trova nulla di diverso dal pantano dell’immobilità infernale in cui, coscienti o meno, viviamo: “ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte”. Chi cerca (qualche volta) trova… La cultura, l’arte – popolare o meno che la si consideri- serve proprio a quello: a darci la forza o, almeno, la fantasia di intraprendere cammini, vie e viaggi nuovi che possano condurci “a riveder le stelle”. Perché insomma, come poi ripetuto in un dialetto diverso da quello toscano, da un altro grande autore classico e popolare al tempo stesso, prima o poi: “Ha da passà ‘a nuttata”.