Digital Affect and the Microbiological in Maxì Dejoie’s The Gerber Syndrome: il contagio and Alex Infascelli’s H2Odio
by Ricardo Domizio
Digital production has led to something of a rebirth in Italian horror film. The article focuses on two recent examples where “the digital” helps us understand affect on a microbiological scale as both an individual and social phenomenon. Alex Infascelli’s 2006 film, H2Odio is a “post-feminist” horror that renders its story of monstrous sisterhood using a mixture of the traditional “giallo” style and more contemporary digital techniques including the glitch aesthetic. The glitch pertains to a particular attribute of digital culture, but also alludes to a genetic basis for bodily transformation and renewal. Reaching beyond the individualised body, Maxì Dejoie’s The Gerber Syndrome (2012) envisages the breakdown of the entire social edifice caused by a viral epidemic that creates a population of “zombies.” Here, the digital construction deploys a contingent documentary style reflecting a highly wrought social field where the zombie-outsider becomes the victim, not the aggressor. In both cases, the bodily and social transformations are pathologized and shown to be outcomes of microscopic processes at the genetic and cellular level. I argue that these extraordinary visualisations invoke a “microbiological affect,” intimately connected to digital processing, and providing a material basis for recognising affective transformation. This article finally suggests that notwithstanding its problematic place in the theory of affect, “the digital” is in fact a route into a new understanding of affect’s potential to unlock ‘invisible’ futures in a troubled political age in Italy and beyond.
La produzione digitale ha condotto a ciò che si potrebbe definire una rinascenza del genere del film horror in Italia. L’articolo si concentra su due recenti esempi in un cui il “digitale” ci aiuta a comprendere il contagio microbiologico come fenomeno sia individuale che sociale. Nel suo horror post-femminista H2Odio (2006), Alex Infascelli sviluppa una vicenda di sorellanza mostruosa mescolando il giallo tradizionale con tecniche digitali contemporanee, quale l’estetica del glitch. Il glitch pertiene a una specifica caratteristica della cultura digitale e, al contempo, rappresenta un’allusione a una base genetica per la mutazione corporea e il rinnovamento. Trascendendo il concetto di corpo individualizzato, The Gerber Syndrome: il contagio di Maxì Dejoie (2012) pone a tema la decomposizione della società causata da un’epidemia virale che crea una popolazione di “zombie.” Qui la riflessione sul digitale è abbinata a uno stile documentario che rispecchia una struttura sociale in cui lo zombie non è aggressore, ma vittima ed emarginato. In entrambi i casi, le mutazioni corporee sono presentate come patologie e mostrate come conseguenze di processi microscopici che avvengono a livello genetico e cellulare. La mia tesi di fondo è che queste visioni evochino un’intima connessione tra “contagio microbiologico” e tecnologia digitale e costituiscano una base materiale per riconoscere la trasformazione infettiva. Questo articolo suggerisce infine che, nonostante la sua problematicità nella teoria del contagio, il “digitale” in Italia costituisca un interessante percorso all’interno di una nuova elaborazione dell’idea di infezione come potenzialità di disvelamento di futuri invisibili, durante e oltre un’epoca politicamente travagliata.